La pedagogia del rischio

Il grande vantaggio del giocare col fuoco
è che non ci si scotta mai.
Sono solo coloro che non sanno giocarci
che si bruciano del tutto.

Oscar Wilde

La pedagogia del rischio sostiene che il rischio sia una componente fondamentale per un’infanzia equilibrata e che i bambini hanno il diritto di crescere in una realtà ricca di esperienze concrete e reali.

Il “rischio” viene inteso come fonte di crescita e non un limite, discostandosi dalla iperprotezione che spesso entra prepotente nella vita dei bambini da parte dell’adulto.

Compito dell’adulto è quello di osservare e vigilare, senza intervenire in maniera limitante, accettandone il rischio che ne potrebbe conseguire. Ovviamente il rischio deve essere calcolato, pianificato, misurato dall’adulto in un percorso educativo.

Quando si parla di pedagogia del rischio, uno dei riferimenti bibliografici è quello di Ellen Sandseter, professoressa al Queen Maud University College di Trondheim, specializzata nell’educazione della prima infanzia.

Nel 2011 pubblicò i risultati della sua ricerca in un articolo dal titolo “Prospettive evolutive del gioco rischioso nei bambini: effetti antifobici delle esperienze emozionanti.”

I bambini, sosteneva, hanno una vera necessità sensoriale di provare il pericolo e l’eccitazione; questo non significa che ciò che fanno debba essere davvero pericoloso, ma solo che debbano sentire che stanno correndo un grosso rischio. La cosa li spaventa, ma poi superano la paura.

Nella pubblicazione, la Sandseter individua sei tipi di gioco rischioso da cui i bambini sono attratti:

  • l’esplorazione delle grandi altezze, ovvero conquistare la “prospettiva degli uccelli: abbastanza in alto da evocare la paura.”;
  • maneggiare utensili pericolosi : oggetti che all’inizio sembrano impossibili da tenere in mano ma che i bambini imparano a padroneggiare;
  • stare accanto a elementi pericolosi : giocare vicino a vaste distese d’acqua o al fuoco, consapevoli del pericolo incombente;
  • azzuffarsi : rincorrersi, fare la lotta per imparare a negoziare l’aggressione e a cooperare;
  • sperimentare l’alta velocità: andare in bicicletta, dondolarsi su liane, altalene, scivoli, andare in monopattino, o sugli sci;
  • esplorare per conto proprio il mondo che li circonda. Quest’ultimo punto la Sandseter lo descrive come “il più importante per i bambini. Quando sono lasciati soli e possono essere responsabili appieno delle loro azioni, e delle conseguenze delle loro decisioni, allora fanno un’esperienza eccitante”. Sparire, perdersi sperimentando il brivido temporaneo e spaventoso della separazione dai compagni.

In quest’ottica il gioco rischioso diviene un’esperienza avventurosa ed ogni azione una sfida.

Nell’intraprendere un gioco rischioso, i bambini si sottopongono a una forma di auto terapia nella gestione della paura, prevenendo che tale paura possa trasformarsi in fobia.

Tutto ciò permette al bambino di acquisire un’immagine realistica di sé e delle proprie potenzialità. Scopriranno la possibilità di farsi male ma anche quella di sbagliare, fallire, affrontare il cambiamento, rialzarsi lavorando per l’accrescimento della propria autostima ed autonomia.

Occorre dunque che i genitori e gli adulti imparino a dare fiducia ai bambini: è questa la base per un corretto percorso di educazione al rischio, in cui l’adulto resti sempre il punto di riferimento.

Rimuovendo ogni elemento di pericolo, anche il più lieve, forse garantiamo la sicurezza del bambino nell’immediato, ma non gli insegniamo affatto a cavarsela e a lavorare sul concetto di problem-solving molto importante per la formazione del futuro adulto.

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